La scoperta dell’importanza del vangelo di Marco è di data relativamente recente. Mentre il vangelo di Matteo era stato per l’antichità il vangelo ecclesiale per eccellenza, che meglio si prestava all’uso liturgico, e più tardi venne in auge Luca, meno giudaizzante, più affine alla mentalità greca e più consono alla nostra, il vangelo di Marco rimase sempre piuttosto in ombra. Ci si accontentava di ripetere su di esso il giudizio del vescovo Papia (circa l’anno 130): « Marco, interprete di Pietro, scrisse con diligenza, ma senza ordine, tutto ciò che si ricordava delle parole e delle azioni del Signore. Egli non aveva ascoltato né seguito il Signore, come invece aveva fatto più tardi per Pietro. Orbene, poiché Pietro insegnava adattandosi ai vari bisogni degli ascoltatori, senza curarsi di offrire una composizione ordinata dei discorsi del Signore, Marco non ci ha ingannati scrivendo secondo quanto ricordava; ebbe solo questa preoccupazione: non tralasciare nulla di quanto aveva udito e non dire alcuna menzogna»(da Eus-bio, Storia Eccl. Ili, 39, 15). Questo giudizio, assai poco lusinghiero nei confronti di Marco, che si protrasse fino al secolo scorso, fu corroborato da un altro giudizio, pure poco lusinghiero e assai sbrigativo di Agostino, cui Marco pareva un « pedissequo sunteggiatore » di Matteo (Agostino, De consensu evangelista- rum, 1, 2, 4).

Così Marco sarebbe stato, senza ordine, lo scrivano di Pietro, oppure senza originalità, il compendiatore di Matteo!

Non fu quindi piccola la sorpresa quando, in seguito agli studi indirizzati alla ricerca sulla vita di Gesù, da un esame dei sinottici, C. G. Wilke[1] e C. H. Weisse[2] pervennero, simultaneamente e indipendentemente, a determinare che il vangelo di Marco è una delle due fonti che stanno alla base della tradizione sinottica. La teoria si impose solo più tardi, contro il dogmatismo della scuola di Tubinga ,’ e cioè nel 1863 con H. J. Holtzmann. Si ritenne così che il vangelo di Marco ci offrisse un ritratto attendibile, non rielaborato teologicamente, del Gesù storico.

Non minore fu allora la sorpresa quando nel 1901 W. Wrede4 provò come tutto il vangelo di Marco fosse teologicamente elaborato e strutturato sulla teoria del « segreto messianico », come vedremo in seguito.

Marco quindi fu il primo evangelista e, per di più, offriva una teologia elaborata del Cristo, del quale si diedero le più svariate interpretazioni, a seconda dei giudizi o pregiudizi dei vari commentatori che su di lui accentrarono la loro attenzione.

Matteo e Luca conobbero il suo vangelo e lo utilizzarono ampiamente, anche come canovaccio (soprattutto Luca, che ne conserva la struttura di « salita a Gerusalemme »), adattandolo ai rispettivi ambienti, giudaici o ellenistici, e integrandolo con una tradizione comune di sentenze di Gesù, e con tradizioni proprie.

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